
In malga è tutto pieno, c’è gran traffico di sciatori.
Scorgo barlumi di spazio a due tavoli quadrati addossati, occupati entrambi da due persone. Mi avvicino e chiedo se possiamo starci anche noi, un adulto e un bambino.
Mi viene spontaneo, senza pensarci, un po’ come quando nei sentieri in quota incroci sconosciuti, li saluti e spesso attacchi brevi scambi su distanze, meteo e suggestioni del luogo. Sarà forse perché lassù bisogna decidere di arrivarci e arrivarci costa qualche fatica, e questo fa già una certa selezione e, insomma, come dire? ci si trova tra persone che hanno qualcosa in comune.
Perciò mi coglie di sorpresa la reazione infastidita ed ostile dello sciatore seduto al tavolo. Gli dico “Se è un problema andiamo da un’altra parte” e lui, visibilmente contrariato e rigidamente arroccato, “Be’, noi dobbiamo mangiare! Se riuscite a starci lì…”, indicando un remoto angolino.
D’istinto mi verrebbero un’espressione colorita ed una teatrale dipartita, invece mi sforzo di restare in modalità montagna: in nome della pacifica convivenza tra i popoli, unita all’oggettiva necessità di ristoro, ci adattiamo al remoto angolino.
Il resto è normale condivisione di spazi in malga, più un paio di domande:
1) chissà se a livello del mare avrei chiesto di sedermi ad un tavolo già occupato, e chissà come avrei reagito io ad una tale richiesta;
2) se un migliaio di metri in verticale fanno questo effetto, figurarsi i chilometri in orizzontale.