
Mi è capitato spesso di venire in ufficio il sabato pomeriggio o la domenica. C’è un silenzio defaticante, rassicurante, che consente di fare ordine, nelle cose e nei pensieri, e che, pur interrompendoli, tiene insieme i blocchi delle settimane lavorative, come i ganci di trazione separano i vagoni ma tengono insieme il treno.
Mi è capitato anche di attardarmi in fabbrica verso sera, dopo la fine turno, quando tutto è ormai fermo e la luce elettrica ritaglia ombre dense dietro gli spigoli, eppure sembra di udire ancora in trasparenza l’eco dei fischi e dei colpi delle macchine utensili e nell’aria permangono strati resistenti, pigri di nebbie d’olio. Tutto fermo, sì, ma tutto pronto per rimettersi in moto la mattina successiva, o anche subito se serve. Quasi che, facendo un “Ehi!” al carrello elevatore appisolato nella postazione di ricarica, quello si ridestasse solerte e ripartisse a caccia di bancali.
Mi è poi capitato di passeggiare in cantiere in pausa pranzo, quando i lavoratori sostano nei loro rifugi di fortuna, estraendo generosi panini dalle sacche e fresche bevande da frigoriferi che un minuto prima, giureresti, non c’erano. Per non parlare delle sapienti miscele idroalcoliche, predosate con cura e protette da brevetto, tali da garantire, ti assicurano, tutto il gusto del vino senza alcun rischio di ubriacarsi. Ecco che nei ponteggi vuoti, nella gru immobile, nella betoniera sudata, nell’odore di calce e cemento aleggianti tra i muri in costruzione senti vibrare la certezza del prossimo passo, la promessa del lavoro che sta per creare cose.
Anche oggi, un luminoso lunedì di primavera dell’anno 2020, c’è un gran silenzio, ma è un silenzio diverso, che affatica e non rassicura. La strada qui davanti, su cui si affaccia il mio ufficio, è vuota e lenta, ma non è lo stesso vuoto della domenica pomeriggio, è un vuoto sospeso, e la lentezza ha venature irrequiete. Il telefono di là in segreteria è inerte, come il sabato mattina, ma di un’inerzia differente, ansiosa e mesta. In fabbrica le nebbie d’olio si saranno ormai posate a terra e si saranno appiccicate addosso alle macchine utensili, a soffocare ogni eco di fischi e colpi. In cantiere i frigoriferi e gli aromi di calce e cemento saranno svaniti insieme alle certezze e alle promesse, nel limbo di una pausa che non ristora, di una sosta che non riposa.
Non tutti i silenzi sono uguali e quello di oggi, che è e resta pur sempre un luminoso lunedì di primavera, è di un tipo mai sentito prima.
È proprio vero. Un silenzio e una calma surreale, mai vissuta prima….
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Quando leggo un tuo racconto vorrei che non finisse mai… le parole incalzano e rapiscono in un modo tanto delicato quanto energico.
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Molto bello questo articolo, mi è piaciuto molto! Complimenti.
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