Assaggiatori di vaccini

Ad un certo punto è silenzio, interi secondi di silenzio teso e pesante. Di quelli in cui ogni movimento rimbomba, finanche un pensiero. Come l’equilibrio, il silenzio ha una sua versione stabile ed una precaria, che solo distrattamente si assomigliano. Siamo ora in un silenzio precario, ancor più stridente se si pensa al chiassoso e irrequieto motivo per cui ci troviamo riuniti nella sala: i vaccini anti-covid per i lavoratori.

Il medico, quello competente, ha appena concluso il suo intervento, una sventagliata ampia e a tratti appassionata sulla storia dei vaccini, sulla loro natura e sul loro ruolo nell’evoluzione della salute umana. Ha parlato a lungo, rimestando informazioni note e cenni di immunologia, schierando al suo fianco le vacche di Jenner e le rabbie di Pasteur, stigmatizzando derive antiscientifiche e stemperando con qualche facezia. Mentre parlava rivedevo i grandi affreschi della camera del consiglio al Palazzo delle Nazioni di Ginevra, murales incombenti in cui l’artista catalano racconta per capitoli i più grandi progressi dell’umanità: il capitolo della salute, tra tutti, è dedicato proprio ai vaccini.

Al termine il medico chiede se ci sono domande, e si ferma. Ferma è anche la platea, in bilico tra l’imbarazzo e l’agguato, pulsante tra diffidenza e deferenza. La platea, d’altra parte, non è casuale. Qualche giorno prima l’azienda ha iniziato una campagna a favore dei vaccini anti-covid, per preparare il terreno, per saggiare gli intenti, perché in questa strana corsa a tappe con cui la pandemia ha travolto il mondo del lavoro c’è stato il tempo dei codici ateco, quello delle mascherine e delle sanificazioni, quello dei rientri dall’estero e quello dei tamponi, e verrà il tempo dei vaccini. Allora bisognerà combinare in azienda misure collettive e scelte individuali, obblighi di massima tutela in capo al datore di lavoro e persistente diritto al rifiuto per lavoratori che, come quelli ora in platea, non intendono vaccinarsi.

Di domande, dubbi e anche obiezioni ce ne sarebbero di sicuro, sono lì che frusciano dietro le quinte ma si ostinano a non rompere quel silenzio precario. Allora lo rompo io. Già che mi hanno chiesto di partecipare provo a dare un contributo, e anzitutto mi costituisco. In un’epoca che pullula di virologi ed epidemiologi, che neanche i c.t. della nazionale durante i mondiali di calcio, ammetto che come semplice rspp non ho titolo né velleità di cimentarmi in dissertazioni sanitarie, e poco conta che, potendo, io mi vaccinerei seduta stante. Però di prevenzione e protezione in azienda mi devo occupare, e se è vero, come è vero, che il vaccino è una forma di prevenzione e protezione, la più ambita, avanzata e risolutiva contro la piaga coronavirale, verrà il momento in cui in azienda bisognerà adottarlo. Magari anche la legge cambierà, sancendo inequivocabili obblighi laddove oggi inequivocabilmente non ci sono: per adesso, malgrado lontani echi di cogenza nei dotti dibattiti tra giuristi (“il Datore di lavoro è sempre tenuto a mettere in atto le misure di tutela più efficaci ed evolute e il lavoratore, da parte sua, è tenuto ad applicarle”), bisogna limitarsi a raccomandare fortemente, fortissimamente i vaccini ai lavoratori, lasciandoli però liberi di declinare. Non resta che informare, sensibilizzare, approfondire e invocare criteri più culturali e sociali, quasi etici, finendo a parlare di responsabilità. A maggior ragione in attività di intenso contatto con utenti e pazienti, come quelle assistenziali e socio-sanitarie.

La platea si anima, perché la responsabilità è un concetto complesso e squisitamente personale, ed è difficile per chiunque ammettere di non esercitarla a dovere, tanto più difficile tollerare che altri lo insinuino. Nel mormorio viene avanzata un’ipotesi conciliatrice: se la maggior parte dei lavoratori si vaccina, si potrebbe riorganizzare il lavoro in modo da isolare e proteggere i non vaccinati. Non so cosa ne pensino i veri esperti di virus, ma da rspp mi permetto di far notare che, sì, si può anche fare, come già viene fatto nelle scuole da quando sono stati reintrodotti gli obblighi vaccinali (collocazione dei bambini non vaccinati in modo che in ogni gruppo classe ce ne sia uno solo, o meno possibile), ma c’è una differenza: a scuola se ci sono bambini non vaccinati è perché non possono vaccinarsi, per oggettive motivazioni sanitarie, non per scelta dei genitori. Nel lavoro provate a imporre ai lavoratori vaccinati di cambiare reparto, orario, gruppo o mansione perché ci sono colleghi che non hanno voglia di vaccinarsi. Qui scatta, piccata, la precisazione: non è che non abbiamo voglia, è che non vogliamo. Glisso sui fronzoli lessicali e ascolto l’onda montante: non ci fidiamo, non vogliamo far da cavie, perché al momento non possiamo essere sicuri che i vaccini anticovid funzionino, non conosciamo gli effetti collaterali, non c’è stata abbastanza sperimentazione, non c’è una lunga storia di applicazione come per gli altri vaccini e, insomma, magari più avanti, quando ci saranno più garanzie, quando efficacia e sicurezza saranno accertate, quando l’avrà fatto così tanta gente che le paure saranno attenuate, se non svanite.

C’è una nota stonata nel coro astensionista, una nota che subito non afferro del tutto, anche perché il medico energicamente riprende le redini e si spinge oltre: per carità, a tutti è concesso il diritto individuale di opporsi a scienza e medicina, di negare che l’uomo è stato sulla luna e di credere che la terra sia piatta, ma caspita… il fatto è che la verità è un’altra!

La riunione piega verso il finale, gli umori si accavallano e probabilmente nessuno ha cambiato idea né riconsiderato davvero la propria posizione. Và così. Saluto, esco e mi metto in strada. Tre minuti e qualche chilometro dopo afferro, fatalmente in ritardo, la nota stonata. Mi vengono in mente gli assaggiatori di cibo e bevande dei potenti, quelli che un tempo (o anche ora?) mangiavano e bevevano prima dei sovrani per proteggerli dai rischi di avvelenamento, e solo dopo, rassicurati e protetti, i sovrani pasteggiavano. E mi viene in mente che la distinzione tra buoni e cattivi, diritti e privilegi diventa spesso un mero gioco di ombre e riflessi, e di orgogliosi, spauriti arroccamenti.

È un attimo passare da squadristi della dittatura sanitaria ad umili assaggiatori di vaccini, così come è un attimo far passare per difesa della libertà di scelta la scelta unilaterale di mandare intanto avanti gli altri.

Pubblicato da Alberto Vicentin

Dal 1972 (cioè dall'inizio) residente a Brendola, nella provincia vicentina. Ingegnere chimico, consulente ambientale, giornalista pubblicista e... mi piace scrivere (www.spuntidivista.blog)

2 pensieri riguardo “Assaggiatori di vaccini

  1. Mi è piaciuto proprio questo tuo articolo, per il lessico forbito ma ancor più per come hai trattato questo tema alquanto “sensibile”.
    Pensando al tema del vaccino, avevo paragonato chi sceglie di non vaccinarsi ai free-rider, concetto mutuato dall’economia politica che così definisce coloro che beneficiano di un bene publico senza aver contribuito a raggiungerlo, ma trovo sicuramente più calzante il concetto di assaggiatori di vaccini per coloro che oggi scelgono di vaccinarsi…

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