Tre anatre e un pesce

Oggi la Risarola si è spenta. Un lento affievolirsi della corrente, un graduale riemergere dell’alveo, prima i piedi degli argini, poi via via isole e penisole di fondale, ed oggi si è fermata del tutto.

Com’era successo nell’estate di diciannove anni fa, quella volta che incontrai le tre anatre e il pesce. Come non era mai successo prima a memoria d’uomo, o almeno così si disse allora. E allora di memoria ce n’era di più, c’erano archivi di ricordi ed esperienze che il tempo si è fatalmente portato via. C’era, tra tante, la memoria di mia nonna, che da mezzo secolo presidiava il corso della roggia e che oggi non c’è più.

C’era anche, fino alla secca del 2003, la certezza che la Risarola non si sarebbe mai seccata, che il suo placido, discreto flusso di acqua giovane, adagiato nel solco tra ali di campagna, non si sarebbe mai arrestato, che le sue risorgive, appena 1500 metri in linea d’aria, direzione nord-ovest, mai avrebbero smesso di risalire e ribollire dai cunicoli del sottosuolo. D’altra parte ci sarà un motivo se si chiama Risarola, buona in un qualche passato per garantire l’allagamento delle risaie (così si narra, e chissà se è vero), e ci sarà un motivo se questo posto si chiama Fangosa e galleggia su un letto d’acqua, esposto in un qualche passato a ricorrenti e invadenti alluvioni, finché il grande bacino venne costruito a monte per imbrigliare ed ammansire le furie torrentizie (così si narra, e può essere vero).

Acqua, quindi, a segnare il territorio ed a bagnare le sue storie. Di quando i tosi andavano giù al canale, in fondo dove si tuffa la Risarola, e là anche loro si tuffavano e sguazzavano. Di quando nei fossi con le nasse si pescavano marsoni, gamberi e addirittura anguille e sotto il portico si faceva la frittura di campagna col pescato di giornata. Di quando alla molonara da Mario le angurie stavano in fresca direttamente in roggia, a galla nella corrente, trattenute da una recinzione anfibia e sempre pronte per la selezione acustica (toc toc) ed il taglio artistico sul tavolone con la cerata. Di quella volta che un maiale scappò dal recinto e tanto corse in mezzo ai campi che finì nelle risorgive dell’Anguissolo, fratello minore della Risarola, dove cadde nel pantano gorgogliante e nessuno lo trovò più. E di quando, nell’estate del 2003, alla prima e, fino a ieri, ultima secca degli annali della Risarola, vidi in una pozza d’acqua ormai ferma un pesce girare in tondo, e di tanto in tanto lanciarsi verso un rigagnolo di collegamento con una pozza più grande, una sorta di guado al contrario, ma ogni volta virare e tornare indietro perché lì, appostate al varco, per dispetto o per orgoglio, stavano tre anatre, guardinghe e chiacchierone, pronte a centrare a beccate il pesce non appena si avvicinasse nell’acqua bassa. Allora presi una frasca e, agitandola verso le anatre, le allontanai per qualche istante, giusto il tempo di far passare il pesce. Lui se ne andò veloce, senza voltarsi, e loro mi starnazzarono qualcosa di facile interpretazione.

Negli anni a seguire, sbirciando in roggia, mi è capitato talvolta di aspettarmi che il pesce tornasse a salutare e che le tre anatre impettite mi aggredissero a beccate. Naturalmente non ho più visto né l’uno né le altre. Ma in effetti neanche la Risarola spenta avevo più visto da allora. Fino ad oggi.

Pubblicato da Alberto Vicentin

Dal 1972 (cioè dall'inizio) residente a Brendola, nella provincia vicentina. Ingegnere chimico, consulente ambientale, giornalista pubblicista e... mi piace scrivere (www.spuntidivista.blog)

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