
Una mattina di fine febbraio arriva la disdetta di un cliente. Una PEC di disdetta muta, senza motivazioni.
A parlare, fin troppo, sono le mail e le telefonate dei giorni prima, in cui il cliente chiede firme, documenti, rapporti di sopralluoghi e verbali di corsi. E che sarà mai? Richieste normali per chi di lavoro “fa carte”. Richieste normali, se non riguardassero “carte false”: firme e documenti con data di mesi prima, sopralluoghi e corsi mai avvenuti. Fin qui nulla di straordinario. Capita! I clienti chiedono un sacco di cose, non sempre fattibili. Poiché chiedere è lecito e rispondere è cortesia, cortesemente si risponde: “No, mi spiace, queste cose non le facciamo”.
E il cliente. “Ma come no? Ci serve per lo sconto dell’INAIL. Il consulente, quell’altro, ha detto che si può fare. Ha già preparato tutto. Dice che dovete solo farci un po’ di firme e darci un po’ di carte”. Lo sconto INAIL è quello che l’Azienda può chiedere ogni anno, entro fine febbraio, tramite il solito modello OT24, in cui si dichiara di essere perfettamente in regola su tutti i fronti possibili immaginabili e soprattutto di aver fatto nell’anno precedente alcuni interventi di sicurezza e salute non obbligatori, e pertanto virtuosi e meritevoli di essere premiati. Solito modulo, solito interessamento tardivo, solite imperscrutabili dinamiche sospese tra carte e realtà.
Non fosse che qui entra in scena un nuovo personaggio, “il Consulente, quell’altro”. Chiedo. “Quale altro consulente, scusi?” Risponde: “Tizio, uno che ci segue da poco, uno bravo e veloce, ci fa anche risparmiare”. Chiudo: “Senta, le attività per chiedere la riduzione del tasso INAIL con il modello OT24 bisognava farle entro la fine dell’anno scorso, non si possono inventare adesso. Sarebbe irregolare, e sarebbe anche rischioso”. Ci salutiamo, passa qualche ora e il cliente richiama: “Senta, niente, ho parlato con l’altro consulente. Dice che ci pensa lui, e dice che dobbiamo darvi disdetta.”
La mattina dopo arriva la disdetta muta, ma le motivazioni le sappiamo già. A prima vista il consulente bravo ha vinto e il consulente “mona” ha perso. Tuttavia la sottile, mutevole distinzione tra “queo bravo” e “queo mona” si confonde nei chiaroscuri delle vicende quotidiane, professionali e non: se arriverà liscio lo sconto INAIL, il cliente non avrà dubbi di aver seguito il consiglio giusto; se invece domani capiterà un incidente ed il lavoratore infortunato, interrogato dallo SPISAL, cascherà dalle nuvole di fronte al registro presenze di un corso mai svolto, il cliente e il suo consigliere bravo avranno da gestire qualcosa in più dei dubbi. Sono solo esempi, giusto per dire che l’eterna sfida resta aperta, in balia degli eventi e delle statistiche, delle scienze e delle coscienze.Fortunatamente la lingua veneta ci viene in aiuto, condensando in un’unica, densa espressione millenari percorsi di saggezza popolare, e ci offre, davanti al protagonista di un comportamento eccepibile, l’esaustiva qualifica di “bravo mona”. E qui non c’è sfida.