La Politica nel vuoto

Ebbene sì, mezzora strappata al flusso di una giornata di lavoro. Uno stacco, il salto di una battuta, un piccolo spazio di vuoto non previsto in agenda. E il vuoto, a lasciarlo fare, è bravissimo a riempire lo spazio.

Fatto sta che a metà pomeriggio finisco il sopralluogo, salgo in auto, esco dalla rotatoria e arrivo ad un bivio: a sinistra è indicata l’autostrada, a destra è indicato il lago. Le ruote, come sui binari, tirano di là. Le mani fremono, tamburellano e poi decidono che si va di qua. Ma sì, che sarà mai? giusto una sosta, due passi tra la riviera e i vicoli di Peschiera. Già che sono qui, mica ci vengo tutti i giorni…

Dal molo il lago si allarga fino alla foschia che vela le montagne. Il sole rimbalza a scaglie sulle piccole onde. Incrocio una di quelle gelaterie che ti chiamano dentro e poi, poco distante, una panchina affacciata su un canale, sulle barche ormeggiate e sulla ringhiera fiorita. Davanti, disteso sull’altra sponda, c’è un edificio di una bellezza discreta, che è difficile non guardare, ed è difficile non fotografare. La foto però non restituisce i rumori, e anche lo sguardo, di suo, li vorrebbe ignorare. C’è un quadro di silenzio e di quiete lì davanti, non fosse per quella gru là dietro, ferma e distratta. Eppure il rumore c’è, e viene proprio da quell’edificio, un rumore duro e battente, di martelli demolitori, di utensili che scavano e frantumano, di lavori in corso dietro la facciata impassibile. Da fuori non si vede, ma là dentro qualcosa sta profondamente cambiando, dentro qualcosa si sta rompendo e ricostruendo.

È difficile spiegare il collegamento, bisognerebbe chiederlo al vuoto che, appunto, è bravissimo a riempire lo spazio, basta lasciarlo fare, e lo fa a modo suo. Eppure un collegamento deve esserci se su quella panchina, guardando l’edificio immobile con i rumori dentro, mi vengono in mente questi giorni di Bruxelles ed i palazzi dove si parla di Europa. Ciò che si vede e ciò che si sente, ciò che appare e ciò che traspare, le cose come sono e come vorrebbero essere e, ancora, come potrebbero essere. E mi viene in mente che per un appassionato di Politica questi giorni di Bruxelles sono uno spettacolo straordinario, un esercizio ed una formidabile esperienza. Un surrogato degli Europei di calcio, perduti nella pandemia.

Per un appassionato vero di Politica, non di quelli che sanno tutte le risposte prima di fare le domande, non di quelli che sbandierano il tifo invece di osservare il gioco come gli ultras di spalle in curva, non di quelli che setacciano dune di informazioni per tenere solo i granelli del loro colore, non di quelli che hanno già deciso chi ha ragione e chi ha torto, chi elogiare e chi screditare, e non c’è verso di cambiare idea, perché cambiare idea mette fuori squadra, perché cambiare idea non conviene o, peggio, fa una paura tremenda, come uno spazio vuoto. Per un appassionato vero di Politica, di quelli che fanno domande per cercare risposte, di quelli che esaminano la struttura e ne interpretano i rumori, uno per uno, dagli scricchiolii alle demolizioni alle ricostruzioni, e provano ad immaginare in anticipo come sarà e come potrà essere meglio, di quelli per cui la ragione e il torto sono il risultato e non il presupposto, di quelli che mettono alla prova il proprio punto di vista prendendo a prestito quello degli altri, di quelli che non hanno paura di cambiare idea e di vuotare spazi e lasciare che si riempiano di nuovo.

Poi il gelato finisce, la panchina si allontana, il canale sfila di lato insieme all’edificio e ai suoi rumori.

L’auto riparte, le ruote tornano sui binari e infilano l’autostrada.

Pubblicato da Alberto Vicentin

Dal 1972 (cioè dall'inizio) residente a Brendola, nella provincia vicentina. Ingegnere chimico, consulente ambientale, giornalista pubblicista e... mi piace scrivere (www.spuntidivista.blog)

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