
“Ciò, vecio, mi digo che podemo farghea.”
“Oh capo, sarà fadiga, ma me digo anca mi.”
“Io dico che possiamo farcela.”
“Non sarà facile, ma lo penso anch’io.”
Vicenza, Contrà Porti, nel mezzo di un pomeriggio di metà marzo, più inizio primavera che fine inverno. Siamo nell’anno 1 D.C. (sì, Dopo Covid).
La conversazione corre di traverso alla strada, i due sono fermi in piedi sul ciglio degli opposti marciapiedi, faccia a faccia, come sulle sponde di un fiume piatto e quieto in cui fluiscono con lievi onde i bolognini in porfido.
“Bisognerebbe cambiare alcune cose però.”
“Vero, servirebbe qualche novità, qualche aggiustamento.”
“È da troppo che andiamo avanti così, è chiaro che qualcosa non funziona”.
“Facciamo ancora in tempo però, volendo”.
Colgo le frasi mentre mi avvicino alla linea di dialogo. Le loro scarpe sembrano in bilico sull’ultima pietra dei bassi marciapiedi lastricati e anzi hanno le punte che spuntano a sbalzo sulla corrente pigra, grigia e ordinata dei bolognini.
Il mio sguardo finge di non guardare e tira dritto verso Corso Palladio e poi d’infilata lungo i palazzi di Contrà del Monte fino ad infrangersi sulle luminose, volatili geometrie della Basilica Palladiana.
“Ci sono questo e quello da sostituire, sono lì da troppo tempo”
“Non hanno fatto proprio male, l’esperienza qualcosa conta, ma sì, hai ragione”
“Serve gente fresca, con idee e prospettiva, per guardare oltre”
“Giusto qualche sostituzione, qua e là, un po’ di giro, e poi tutto si sistema”
Mentre li supero, trascinato dal flusso silenzioso e immobile dei bolognini di Contrà Porti, affluente del Corso, fanno i nomi e dicono i ruoli, ma non li afferro. Noto però che quello di destra è più elegante, pantaloni e giacca sul grigio scuro e camicia bianca senza cravatta, mascherina nera e scarpe scure quasi lucide. Quello di sinistra è invece più casual, jeans blu e maglioncino grigio scuro, senza camicia, mascherina rossa e scarpe marrone chiaro, quasi sportive.
La conversazione svapora alle mie spalle, risucchiata nel silenzio di un centro città in clausura, e mi accorgo che non ho dubbi: stavano parlando di pandemia, di politica e dei relativi personaggi. Sento i passi che scalpicciano sui lastricati dei marciapiedi opposti: i due stanno rompendo le posizioni per congedarsi, svicolano sulle sponde e schivano il guado di bolognini azzurri per i riflessi della luce di marzo.
Contrà Porti è ormai finita e sfocio nelle più ampie prospettive di Corso Palladio, che si aprono in entrambe le direzioni con sipari di facciate, portici, finestre e in alto i profili frastagliati a delimitare il cielo. Mentre di fronte, sempre più vicine e magnetiche, vibrano le strofe in bianco e nero della Basilica, tanto assolute da relativizzare lo slargo di Piazza dei Signori, sento le loro ultime voci, l’eco del loro saluto che rimbalza tra i palazzi.
Sarà per quel saluto che, senza voltarmi, pochi passi più avanti, proprio dove Contrà del Monte esplode sulla Piazza, mi ritrovo con un sorriso nascosto a cui risponde il sorriso abbagliante della Basilica.
Sarà per quel saluto che io e la Basilica ci ritroviamo a sorridere:
“Forza Lane”
“Forza Lane, sempre”

Bella e sempre “Forza Lane” da uno che da 55 anni frequenta il Menti
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