Bruno e il cane che salì sul Mulaz

“Com’è il sentiero? Possono farlo anche i comuni mortali?”
“Ma sì, cosa vuoi che sia. Andate, è un bel giro. No come i soliti giretti che fate voi.”
“Proprio fin su in cima in cima, a 2.900? Non è per montanari esperti?”
“Ma no, figurati. Una passeggiata per tutti. Ascolta, poco dopo il passo Mulaz invece di scendere giù dall’altra parte per il rifugio, prendete la deviazione su a sinistra. Giusto mezz’oretta, un tratto comodo, e arrivate proprio sulla vetta.”
“Senza ferrate o tratti difficili?”
“Macché difficili. Vai tranquillo. Lo fate sì. È salito su anche il mio cane.”
L’azione motivazionale è compiuta. Bisogna dire che il cane citato, a vederlo, non fa venire in mente gli stambecchi d’alta quota, né per stazza oggettiva né per agilità apparente. Pertanto, se ce l’ha fatta il suo cane, vuoi che non ce la faccia io? Dove non arriveranno le gambe, arriverà almeno l’orgoglio.
Lui si chiama Bruno, come il colore, non più marrone né grigio e non ancora nero. Come l’orso e come le tonalità che prende il cielo al tramonto, ancor più in montagna, specie nei versanti meno esposti. Come l’effetto cromatico che si conferisce ai metalli con un trattamento di superficie, la brunitura appunto, per ottenere estetica e, insieme, resistenza.
Ad ogni domanda Bruno restituisce un’informazione utile e una bacchettata, faceta sì ma pertinente, da pensarci su e sentirsi, al tempo stesso, presi e portati in giro. “Andate qui, per questo percorso, ne vale la pena, piuttosto che andare per di là, dove piace a voi, che non so come faccia a piacervi. Ma sì, è una cosa facile, bei posti, mica roba complicata, però poi bisogna vedere: so io a che ora partite voi la mattina? In montagna si parte presto, si va di buon’ora e per pranzo si è già tornati, voi per ora di pranzo forse vi mettete in strada. Lo so io che voi siete… di un’altra categoria.”
Ad ogni domanda un po’ ti accoglie e un po’ ti aspetta al varco, in un riverbero delle poliedriche sfaccettature dolomitiche, sempre in equilibrio tra maestosa bellezza senza tempo e imminente, rovinoso sgretolamento, tra salde tracce solcate da migliaia di passi esperti e l’incognita del vuoto a meno di un inciampo.
Dietro ogni risposta c’è una storia di vita vissuta, un corredo di pensieri raccolti per la via e messi insieme come fascine per accendere il fuoco. Ti ascolta, con i tempi di una camminata nel bosco, poi risponde, con i toni degli alberi che frusciano e dei ruscelli che gorgogliano, e nel frattempo, sempre, ha gli occhi che ridono. Sempre.
Così arriviamo su al passo Mulaz, dopo tre ore e novecento metri di dislivello, partendo dalle meraviglie della Val Venegia e piegando su a sinistra per i primi pendii boscosi del sentiero Quinto Scalet per poi serpeggiare tra esplosioni floreali, erte pietrose e marmotte burlone fino ai ghiaioni alti con pareti e panorami a sbalzo. Così arriviamo su al passo, già si intuisce dietro ogni roccia il miraggio del rifugio Volpi al Mulaz ed ecco finalmente la fatale, temuta deviazione. Il cartello segna un’ora, la mappa scandisce trecento metri di ulteriore ascesa, l’orario incombe (malgrado le migliori intenzioni compatibili con la categoria di appartenenza) e in cielo occhieggiano e sventagliano nuvole birichine, di quelle che nei pomeriggi estivi da queste parti si assembrano con mirabile premura e raramente mancano l’appuntamento con lo scroscio.
Allora ci siamo, le gambe esitano, l’orgoglio sobbolle e… no dai, meglio tirare avanti fino al rifugio. Poi più tardi, di ritorno… no dai, meglio scendere, oggi non si riesce ad arrivare in vetta, non stavolta, sarà per la prossima magari. I piedi già assecondano la direzione del valico ma la coda dell’occhio indugia sulla deviazione, quasi a scusarsi, a costituirsi, ad appuntare una promessa. Ed è lì che per un istante lo vedo, proprio all’inizio del tratto che si arrampica su in vetta al Mulaz. È senz’altro il cane di Bruno, che zampetta e scodinzola in salita, saltella tra i sassi e, prima di scomparire ad una svolta, mi lancia uno sguardo fuggitivo. Uno sguardo di rimprovero e di sufficienza, ma con gli occhi che ridono.

Pubblicato da Alberto Vicentin

Dal 1972 (cioè dall'inizio) residente a Brendola, nella provincia vicentina. Ingegnere chimico, consulente ambientale, giornalista pubblicista e... mi piace scrivere (www.spuntidivista.blog)

Una opinione su "Bruno e il cane che salì sul Mulaz"

  1. Alberto ciao a te e famiglia, ma alla fine in vetta è arrivato il cane di Bruno scodinzolando o l’orgoglio di qualcuno.
    Cordialmente

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