25 al setaccio

Lo so che le Partite Iva non festeggiano i compleanni, però mi sono reso conto che la mia ne ha appena fatti 25 e qualche pensiero ha cominciato a girarci intorno.

Non solo il più logico, che verte sull’inesorabile trascorrere del tempo e sul bisticcio insanabile tra gli orgogli dell’esperienza maturata e i fantasmi del futuro che si accorcia.

Anche altri pensieri hanno cominciato a girarci intorno, dall’idea che si ha da appena laureati (più o meno: salvare il mondo) al mondo che poi si incontra là fuori, dalle cose che sembrano vitali e invece non lo sono alle cose che sembrano insignificanti e invece pian piano costruiscono fondamenta ed elevano strutture. E ancora pensieri su ciò che si è trovato, su ciò che si è smarrito e su ciò che ancora manca.

Per farla breve (benchè breve non sia) cosa resta passando grossolanamente al setaccio 25 anni di Partita Iva?
Dei granelli trattenuti nelle maglie, ne prendo tre:

–         il PERCORSO, fatto di gradualità e pazienza, di attese, scatti, rallentamenti, sbandamenti, ripartenze, e sulla distanza, voltandosi indietro, tutto prende forma e va a conformare la cosiddetta professionalità, quell’ambiziosa ed impalpabile identità di sé stessi al lavoro che, socraticamente, tanto più è forte quanto più si sente fragile; d’altra parte non si dice che il bello del viaggio, ancor più che la meta, sia proprio il cammino?

–         la RETTITUDINE, che non è rigidità né piattume, è piuttosto lucida consapevolezza dello spazio in cui muovere le proprie scelte e il proprio stile, tecnico e commerciale sì ma soprattutto etico; uno spazio delimitato da due linee, mutevoli e tortuose, mai parallele, da una parte quella ambiziosa e inconcludente della perfezione e dall’altra quella ammiccante, insidiosa e creativa della realizzazione; la sfida è lì in mezzo, nello spazio in cui si incontrano ideali e realtà, onestà e concretezza, dove bisogna tenere il passo in equilibrio, cauto e saldo al tempo stesso, come su un sentiero di montagna tra la roccia ed il vuoto;

–         la DIGNITÀ, quella che distingue (ovvero all’opposto estingue) la persona, a maggior ragione la persona al lavoro; quella che non sta scritta negli organigrammi e non si misura con le etichette; una dignità che è difficile raccontare e che pur tuttavia quando capita di intercettarla si riconosce subito, nel saluto composto e accogliente della guardia all’ingresso della conceria, nelle parole dirette, impazienti del carrellista quando ti mostra come caricherebbe lui il camion, nei modi sbrigativi e appassionati dell’anziano muratore che non ha tempo da perdere ma… “guarda qua che bel lavoretto”.

Ecco, sì, potremmo dirla così: guarda qua che bel lavoretto.

Pubblicato da Alberto Vicentin

Dal 1972 (cioè dall'inizio) residente a Brendola, nella provincia vicentina. Ingegnere chimico, consulente ambientale, giornalista pubblicista e... mi piace scrivere (www.spuntidivista.blog)

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